Republika e Kosovës per gli albanesi, provincia autonoma di Kosovo i Metohja per i serbi, semplicemente Kosovo per il resto del mondo. Attorno a questi 11mila Kmq di terra balcanica si è rivoltato come un vecchio drago agonizzante l’inizio (della fine) e la fine della Jugoslavia, scandendo la prima e ultima tragica battuta del decennio di Milošević.
La Repubblica del Kosovo viene istituita ufficialmente nel 1999 con la risoluzione internazionale 1244, l’atto finale delle Guerre balcaniche dei Novanta, ma la sua fondazione viene fatta risalire al 1990.
Nel 2008, col referendum del 17 febbraio, il Kosovo diventa “ufficialmente” indipendente dalla Serbia. Ufficialmente, ma non per tutti. Infatti oggi, dopo sei anni, il paese è riconosciuto da poco più di un centinaio di nazioni dell’Onu, e da solo 23 su 28 paesi della Comunità europea. Inutile dire che tra i paesi che hanno riconosciuto immediatamente il referendum ci sono gli Stati Uniti, la Gran Bretagna e i “fratelli” dell’Albania, oltre a vari altri stati alleati nell’intervento Nato del 1999 tra cui l’Italia. Altrettanto inutile dire che tra i paesi che non riconoscono il Kosovo sovrano ci sono Russia e Cina. Decisamente superfluo dire che la Serbia continua a considerare il Kosovo come una provincia autonoma del suo territorio.
Cosi entrare in Kosovo, prim’ancora che fisicamente, significa districarsi tra termini ufficiali e ufficiosi, rettifiche politically correct, città dal doppio nome, eccetera.
Insomma, il Kosovo c’è, c’è sempre stato, però cos’è oggi “ufficialmente” dipende da chi hai di fronte.
In realtà una cosa importante è avvenuta recentemente, perchè nel marzo 2013 Serbia e Kosovo appunto, con la mediazione di Bruxelles, hanno sottoscritto un documento programmatico per la normalizzazione dei rapporti tra i due paesi. Una svolta al momento di pura teoria diplomatica, che però ha aperto piccole, nuove prospettive nei Balcani. Per la Serbia innanzitutto, questo passo è stato decisivo per l’apertura ufficiale dei negoziati di adesione come paese membro.
In Kosovo ci entro dall’Albania, dalla capitale Tirana lungo l’autostrada che all’altezza di Milot si sgancia a est. L’autostrada Ibrahim Rugova s’infila tra le montagne dalla roccia viva appena tagliata del distretto di Kukës, per continuare oltre confine nel territorio di Prizren e arrivare fino a Pristina. Come i pezzi di uno specchio in frantumi ho cercato di raccoglierne il più possibile in modo che i singoli riflessi formassero l’immagine della sua storia contemporanea.
Frammenti contrastanti dalla capitale, confusa nella sua identità. Piuttosto anonima dal punto di vista architettonico e urbanistico, Pristina si è ritrovata d’improvviso a dover fare da riferimento al nuovo stato, cosi alla banale distesa di bloc dell’epoca comunista, si sono aggiunti strutture “d’impatto” visivo come l’immensa e incompleta cattedrale intitolata a Madre Teresa tra la Bulevardi Bill Klinton e la Rruga Xhorxh Bush, o la biblioteca universitaria presa direttamente da Guerre stellari. Si è dovuta inventare una “vita metropolitana” abbagliante, sbandierata chiassosamente come prova “di modernità e occidentalià”, fatta di bar, ristoranti, pub, pizzerie, club notturni col customer service all’inglese, impiantati pedissequamente nel cuore di Pristina da propretari rientrati dopo un decennio di emigrazione ma fuori portata per gran parte dei cittadini locali, come un esperimento di etno-ingegneria per funzionari o impiegati delle diverse organizzazioni internazionali, spaesati e solitari, in contrasto con l’immncabile bazaar affollato rumoroso, dove si beve il çai e non il filter coffee, e sui tavolini ci sono i pezzi del domino e non gli iPad.
Schegge di religione a Prizren, nell’adorabile cuore ottomano della cittadina dalle tre lingue, di integralismi anche qui dovuti a forti presenze economiche provenienti dall’estero, non a caso è la Turchia particolarmente presente nella ricostruzione post bellica, nelle scuole coraniche, nei finanziamenti delle moschee.
Pezzi di religione, taglienti e saguinanti, ci sono anche a Gračanica o peggio ancora a Mitrovicë o Kosovska Mitrovica, il dramma continuo dell’attuale Kosovo. Città simbolo dello scontro serbo – albanese, dell’Islam contro la chiesa Ortodossa, del fiume Ibar e dell’ennesimo ponte che divide, della miniera di Trepča una volta fonte di richezza, e oggi bloccata nello scontro Belgrado – Pristina.
E sono immagini di eroi o criminali, di combattenti per la nazione o di terroristi, di soldati o di assassini, lungo le strade della Valle Rugova, attorno alla piccola Pejë, o Peć città martire della lotta dell’Uçk, l’esercito di liberazione degli anni Novanta dalle tante ombre.
Pezzi di Storia, una storia recente, ancora breve, che ha appena sei anni e mezzo.
Questi ultimi mesi nei Balcani sono stati caratterizzati dalle elezioni. Tra qualche settimana, a inizio giugno, anche il Kosovo, tra i recenti scandali corruzione legati alla missione Eulex, e i l’annosa questione dei tribunali interni per i crimini di guerra, sarà chiamato alle urne. Il premier uscente Hashim Taci cercherà di riconfermarsi alla guida del governo, e dove nuovamente ci sarà l’opportunita di vedere quanto il piccolo paese sarà pronto per provare a fare un salto in avanti.
Kosovo, l’ultimo nato d’Europa. (Photogallery)