L’idea iniziale era partire da Sofia e chiudere in Macedonia (Fyrom), ma tra le varie ipotesi e opzioni la Bulgaria ha ceduto il posto a Thessaloniki (Salonicco), capitale della Macedonia greca. Il viaggio così si è circoscritto idealmente tra i “due Alessandri”, in realtà uno solo Alessandro il Grande, però conteso tra “due Macedonie”.
Il contenzioso sul nome Macedonia, vede la Grecia contrapporsi all’ex repubblica iugoslava da ormai un quarto di secolo, e il condottiero ne è il simbolo: figura fondamentale della cultura classica e dell’identità nazionale millenaria per i primi; elemento attorno al quale costruire un’identità, nuova di zecca, per i secondi che fino alla fine della Seconda guerra mondiale non avevano alcuna concezione di nazione. Una nazionalità in corso d’opera fin dalla dichiarazione d’Indipendenza dall’allora Repubblica Federale di Tito, costruita sgomitando con i vicini: la definizione di una propria lingua macedone che i bulgari reclamano come un loro “dialetto”; la definizione oltranzista di nazionalità macedone, i cui risvolti sono stati e sono tutt’ora un contrasto violento con la comunità albanese; e, come già detto, i simboli già utilizzati da alcuni, fatti di figure storiche e architetture ostentate in un’immensa operazione urbanistica tra le più poderosamente insensate e costose che è Skopje 2014.
Il caso ha voluto che a Thessaloniki, città natale di Mustafa Kemal Atatürk il padre della Turchia moderna, o di Eleftherios Venizelos politico fondamentale dell’Indipendenza greca di inizio XX secolo, undici anni fa si tenesse il vertice europeo che aveva come obiettivo l’integrazione dei Balcani nell’Europa. E sempre qui, in quest’anno di ricorrenze importanti, tra qualche giorno, durante il semestre di presidenza europeo greco come nel 2003, si terrà nuovamente il vertice tra UE e Paesi balcanici.
Quello che è sicuramente differente da allora è il clima internazionale, l’atteggiamento verso l’allargamento, o più in generale il sentimento europeista. Nell’agosto 2003 l’europeismo era al suo massimo storico, la Comunità Europea era a un passo dal “big bang”, il grande allargamento a est dove entrarono in un solo colpo dieci paesi, soprattutto dell’area post comunista, passando nel 2004 da 15 a 25 paesi membri. In quell’atmosfera di ottimismo generale si disse che il futuro dei Balcani era in Europa. Ma nel frattempo una pesante crisi economica ha destabilizzato le istituzioni finanziarie e politiche comuni, soprattutto per “vecchi” dell’Europa, e la Grecia simboleggia la gravità del momento. C’è stata un’involuzione nazionalista, dalla Francia alla Slovacchia, dal Regno Unito all’Ungheria o alla Grecia ancora, dove questioni bilaterali tra singoli paesi, spesso pretestuose e demagogiche, hanno rallentato, se non frenato del tutto, una marcia comunitaria che dieci anni fa correva oltre i limiti di velocità.
Così oggi, a parte le curiose analogie, dei progetti d’integrazione balcanica si è realizzato molto poco. Nel 2007 sono entrate con molte critiche Bulgaria e Romania, ma facevano già parte del V allargamento, e la Croazia solo un anno fa dopo un negoziato di nove anni. Per il resto la Serbia ha appena ottenuto lo status di paese candidato dopo il passo in avanti sulla questione Kosovo, l’Albania si è vista rifiutare l’apertura lo scorso inverno ma probabilmente inizierà i suoi negoziati quest’estate durante il semestre di presidenza italiano. Lost in 20th century Bosnia Erzegovina e Kosovo, paralizzate in un limbo/tabù diplomatico dalla fine delle guerre degli anni Novanta, mentre la situazione della Macedonia è in stallo dal 1991 proprio per un veto greco sul nome.
Ma l’Europa dei meeting e delle tavole rotonde è lontana dalla gente, chiusa nei suoi palazzi di vetro. Gran parte dei greci non sa nemmeno del semestre di presidenza, e di Europa si parla solo in termini negativi: l’austerity, la Troika, la Merkel…
Lungo le strade della città però, la giornata greca conserva l’apparente leggerezza e la piacevole lentezza della vita mediterranea.
Salonicco, la mia prima tappa di questo piccolo viaggio attraverso la frontiera, non è bella nel senso classico con il quale ci si riferisce a una città storica. Non si resta abbagliati dalle “meraviglie” archeologiche, non si scattano migliaia di foto a capitelli, templi, colonne o statue di divinità antiche. La Storia, è vero, trasuda da ogni angolo, ogni vicolo, ogni piazza apparentemente anonima, ma non travolge con la magnificenza.
La Torre bianca, simbolo della città, si affaccia sul lungomare travolta quasi da una valanga di palazzi; la Rotunda e il suo arco sbucano all’improvviso da una marea di edifici, soffocate in strade strette e scure per la mancanza di luce e aria.
La città respira solo nell’Ano poli (la città alta), da cui collina si può vedere l’illimitata metropoli che si riversa sulla costa.
Salonicco è da vivere più che visitare, giù dalla Città alta, tra le sue strade opache dai muri pieni di graffiti e poster strappati di Ladidaka o del bazaar moderno, nonostante il turismo di massa, la città è dei greci, loro sono quelli che la vivono, ne riempiono le taverne e i wine-bar fin dalle prime ore del pomeriggio.
Georgios è il mio tassista verso gli altri Balcani, quelli dall’accezione negativa al di là della frontiera. Corpulento, con dei baffoni da tricheco, premuroso e gentile, lo osservo mentre smonta l’insegna luminosa dal tettuccio del suo taxi prima di arrivare controllo doganale della Repubblica di Macedonia, rigorosamente chiamata Fyrom (Former Yugoslavian Republic of Macedonia).
Il tassista Georgios me l’ha trovato Anik, il portiere del mio hotel a Florina, una cittadina graziosa adagiata lungo il fiume Sakoulevas, ad appena 18 Km dalla frontiera con l’ex repubblica iugoslava e a una cinquantina dal confine albanese, l’Epiro del Nord come viene chiamato da chi voleva Korça e Argirocastro nello stato ellenico.
Con qualche telefonata Anik ha trovato il mio passaggio per Bitola. Per oltrepassare il confine e rientrare è necessario un permesso piuttosto costoso, una carta verde, e quei pochi tassisti che la possiedono operano soprattutto nel trasporto intercomunitario. «Era 50 euro, ma per te son riuscito a strappare un buon prezzo, solo 40 euro», mi dice, secondo la buona scuola di mercato turca.
«Florina: dove comincia la Grecia», per me finisce. Vado verso Ohrid (Ocrida), ma tra Salonicco e la bellissima cittadina sull’omonimo lago, il trasporto ufficiale è quasi inesistente, ci pensa la variegata iniziativa privata: non solo autovetture, ma biciclette, trattori, vecchie moto Guzzi e carretti trainati da muli assordati dal traffico moderno.
Mentre percorriamo gli ultimi chilometri, ormai in territorio macedone, Georgios mi dice che Ohrid «è l’unico posto bello in Fyrom. Ma la prossima volta devi stare di più, devi visitare il lago Prespa». Mi faccio lasciare alla stazione di Bitola, mi dice di stare attento ai bambini zingari «in un attimo ti svuotano le tasche», mi ricorda che il cambio è di 60 Mkd per un euro, e che l’orologio è un’ora indietro. Ci salutiamo.
Intanto sono nell’ex repubblica più povera dell’ex Jugoslavia, mi guardo attorno, e dove sia fermo il tempo è molto più difficile stabilirlo.
Potrebbe essere fermo a 30 o 40 anni fa stando agli edifici socialisti enormi tra le case semi diroccate. Mastodontiche stazioni dagli androni vuoti e in continua costruzione.
Potremo essere in una Las Vegas, lontana dal deserto del Nevada, ma nel centro della capitale macedone, nell’incredibile, assurdo progetto urbanistico di Skopje 2014 fatto di edifici neo-trash-classici, statue colossali fontane e ponti degni di un set holliwoodiano.
Potremmo essere ancora sotto il dominio turco, nella macedonia ottomana dei bazaar affollati e rumorosi, dei mercatini che sbucano ovvunque ci sia un camioncino riadattato a bancarella.
Potrebbe essere in un tempo fatato, nella calma primaverile del lago di Ohrid (Ocrida), prima della tempesta turistica estiva. Una perla di rarissima belleza naturale dell’entroterra balcanico che forse ha un suo pari solo nella valle del fiume Drina del sudest bosniaco.
Ma in realtà, guardandomi bene intorno vedo che siamo esattamente nell’anno 2014, a 25 anni dalla caduta del Comunismo, e a 100 dalla Grande Guerra che da queste parti aveva il suo fronte meridionale, il Fronte macedone. Sono in quel terzo millennio che predilige l’appariscenza e le mosse a effetto, ma che sotto il tappeto ha un ventennio di povertà e ritardo socio-economico, di stagnazione politica e di estremismi.
La figura del grande condottiero, che sotto il suo impero aveva unito popoli dal Mediterraneo all’Asia Minore, oggi è il simbolo delle intransigenze tra i poveri d’Europa.
Tra i due “Alessandri”, in viaggio tra la Macedonia greca e l’ex repubblica jugoslava di Macedonia. (Photogallery)